“In una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce, ivi presso correva un fiumicel di vino del migliore che mai si bevve, senz’avervi entro gocciol d’acqua”.

Così Boccaccio, nel Decameron, descrive la campagna intorno alla sua Certaldo, nel cui comprensorio, oggi come allora, si produce un vino del “migliore che mai si bevve”. Per conquistare queste terre, nel cui tufo le viti generose producono i loro tesori, si sono scontrati gli eserciti di parti avverse alla contesa di questi borghi. La menzione più antica del Castello di Pogni risale al 1059. Il nome deriva dal vocabolo latino “Pugna” ed evoca le battaglie che in questa zona si sono svolte per il dominio di una contrada geograficamente importante abitata da gente fiera ed indomita.

“Ponnia Thuscorum statio celeberrima quondam” divenne feudo del Conte Alberto Degli Alberti, Signore anche di Certaldo e della mitica Semifonte. Il Castello comprendeva numerose case, molti abitanti e tre torri fortificate. Presto Pogni s’inimicò la potente Repubblica Fiorentina che vedeva di malocchio l’arroganza del Conte Alberti e dei suoi vassalli che spadroneggiavano sulla Val d’Elsa fino alla Val di Pesa. Firenze, inoltre, voleva entrare in possesso di un contado fertile, ricco di vigne e di olivi.

La Repubblica prese come pretesto l’Editto del 1107 del Comune di Firenze che permetteva di far guerra ai Castelli che non avessero obbedito al potere centrale ed in una notte del Giugno 1184 assediò il Castello di Pogni, nonostante fosse allora molto forte. Il Conte Alberti fu condotto in ostaggio a Firenze e fu liberato solo a condizione che egli, la Contessa Tabernaria sua moglie ed i figli si obbligassero a distruggere entro il mese di Aprile 1185 il Castello di Pogni senza mai più riedificarlo, di atterrare le Torri di Certaldo e di radere al suolo il Castello di Semifonte.

Così ebbero fine i Castelli di Pogni e Semifonte che si acquistarono tanto grido per la coraggiosa difesa dei suoi abitanti, vinti perché costretti dalla fame ad arrendersi, più che per l’offesa da essi recata ai Fiorentini e per le tante precauzioni prese da un Comune già fatto potente per combatterli ed atterrarli, talchè aveva preso credito il seguente strambotto: “Fiorenza fatti in là che Semifonte si fa città”.